Fugazi, Shudder To Think, Jawbox.
Tre nomi, uno stile, una label.
Ian McKaye può andarne fiero.
Lontano dai clamori dell’altra Costa, queste tre bands underground hanno avuto il merito non da poco di rinnovare un linguaggio in modo molto personale e stimolante. Forse a modo loro hanno ereditato lo spirito degli emergenti della SST Records della prima metà degli eighties.
Pionieri più moderni e forse più lucidamente distaccati (a Washington però fa un po’ freddino), bravissimi a percorrere la loro strada senza remore e, soprattutto, senza soldi.
I Jawbox arrivano leggermente dopo ma lasciano quasi subito il segno, se non con “Gripped” (esordio del 1991), sicuramente con “Novelty” (1992). Qui dentro c’è una grandissima cosa chiamata “Dreamless”, non dico niente altro.
Lontano dai riflettori i Jawbox crescono, e grazie alle orecchie interessate della City Slang (con distribuzione Atlantic), sfornano, nel 1994, il loro disco più compiuto e maturo “For your own special sweetheart”.
Ci si avvale di qualche apparecchiatura in più e di uno Studio migliore nel tentativo di far crescere la qualità dei suoni senza far disperdere l’elettricità, senza annacquarli insomma. L’obiettivo viene raggiunto ed i suoni ottenuti riescono nel non facile compito di sintetizzare gli umori tipicamente Dischord con le dinamiche che sono proprie di una produzione con un taglio un po’ più professionale (City Slang non è Capitol Records, ma due o tre cosette quasi-mainstream le conosce).
Non era dunque facile riproporsi ma i Jawbox stanno dalla parte giusta, appartengono a quella stirpe in via di estinzione che da alle stampe qualcosa solo se in essa ci si crede fermamente.
Spigoli, break, dissonanze, e accelerazioni sono elementi che nei tre dischi precedenti sono stati convogliati spesso in canzoni di pochi brucianti minuti.
L’approccio sostanzialmente non cambia ma i suoni e la produzione sono sicuramente di un altro livello ancora ed i Jawbox ne approfittano per operare una sintesi forse definitiva. Non tutto è qualitativamente omogeneo in questo nuovo “omonimo” album del 1996, ma di cartucce a salve qui non vi è traccia e tanto basta per farmeli considerare tra i più sinceri e lucidi autori del Rock-Wave contemporaneo.
Uso il termine Wave perché traspare in più di un momento una certa attitudine e chissà perché a me vengono in mente i Comsat Angels, quelli favolosi di “Waiting for a miracle”, forse perché Jay Robbins ha una voce che ricorda quella di Stephen Fellows.
E la qualità melodica delle linee di cantato assieme all’esplosività del sound (se possibile ancor migliorato!) ed alla capacità di strutturare alcune songs secondo la logica Intro/Strofa/Bridge/Refrain/Reprise/Middle eight e Super Refrain finale (la furiosa iniziale “Mirrorful” è una bestia con questi artigli) rappresentano i punti di forza dei Jawbox.
Restano naturalmente l’urgenza e l’energia quale collante di una musica figlia dei tempi (moderni?) che viviamo ed i Fugazi certamente hanno fatto scuola ma i Jawbox quando interiorizzano sono micidiali: non vi basterà ascoltare “Iodine” 99 volte, dovrete arrivare a 100.
Anto (1996)
Tracklist:
1. Mirrorful |
2. Livid |
3. Iodine |
4. His Only Trade |
5. Chinese Fork Tie |
6. Won’t Come Off |
7. Excandescent |
8. Spoiler |
9. Desert Sea |
10. Empire Of One |
11. Mule/Stall |
12. Nickle, Nickle Millionaire |
13. Capillary Life |
14. Absenter / Cornflake Girl (traccia nascosta) |
Mario