L’oggetto di molte recensioni di questo disco non è stata la musica, ma l’esposizione mediatica riservata al gruppo dalle riviste inglesi, che hanno per lo più etichettato il quartetto di adolescenti di Manchester come “next big thing”.
Man alive è stato ingenerosamente e frettolosamente catalogato nel reparto post-Gang of Four dei Foals: più appropriatamente, potrebbe essere visto come la versione matura degli incroci pop di Futureheads e dintorni, con una matrice meno anni ’80 e qualche eco progressive.
Un disco per niente conciliante, denso di idee e parole, con riferimenti talmente disparati da suonare alla fine come un cocktail originale: un caleidoscopio dove è facile vedere frammenti colorati di cose diverse, come XTC, Peter Gabriel, il progressive più melodico e il gusto per ritmi e dinamiche dei King Crimson, la new wave anomala dei Punishment of Luxury, l’ironia e i giochi di parole del britpop, un groove quasi disco nelle aperture leggere, le armonie vocali pescate dai quattro angoli della storia del pop.
Al primo ascolto restano in testa il fragore Cardiacs (ma loro non li conoscono, hanno detto) di Photoshop handsome e l’armonia vocale toccante di Suffragette suffragette: e già questo pop deviante dovrebbe bastare a consigliare un secondo ascolto che permetta di memorizzare la disco frantumata di MY KZ, YR BF e l’elettronica piana di Schoolin’ , e ad affezionarsi alla voce gabrieliana di Jonathan Higgs, che rimbalza tra i registri di testa e di gola nelle belle melodie che tengono uniti i cicli irregolari degli altri strumenti.
Con il terzo ascolto vengono a galla le “ballate”, dove il registro è meno ironico: Final form dove si sente il dolore per l’amico che soccombe alla malattia, Two for Nero, Leave the engine room e Tin (the manhole) giocate su tappeti minimali, Weights col ritorno delle armonie circolari di voce.
E infine emergono anche gli altri brani che si piazzano nel mezzo tra queste coordinate, come gli inni Qwerty finger e Come alive Diana, e soprattutto viene a galla la stratificazione della musica, dove le dinamiche sono ottenute con una rotazione di suoni e strumenti solo apparentemente semplice, in realtà frutto di una tecnica strumentale matura a dispetto della giovane età degli esecutori, e di una capacità di costruzione degna dei calcoli dei Tool.
Un disco nel quale ascolto dopo ascolto ci si può innamorare di tutte le canzoni: una miscela di ingredienti noti, che generano però una serie di brani coerenti, diversi e originali, che mi hanno provocato lo stesso effetto di sorpresa ed entusiasmo di certe “epifanie impreviste” come, parlando di altri generi ed epoche, le scoperte di Negresses Vertes, New Pornographers e Scissor Sisters, o la svolta pop dei Motorpsycho di Let them eat cake.
Domenico di Giorgio (maggio 2011)
Tracklist:
1. “My Kz, Ur Bf”
2. “Qwerty Finger”
3. “Schoolin'”
4. “Leave the Engine Room”
5. “Final Form”
6. “Photoshop Handsome”
7. “Two for Nero”
8. “Suffragette Suffragette”
9. “Come Alive Diana”
10. “NASA Is on Your Side”
11. “Tin (The Manhole)”
12. “Weights”.
KINDERTIME
La cioccolata migliore va fatta sciogliere lentamente in bocca, dicono, perché il sapore arriva dopo un po’, per rimanere a lungo.
Viceversa, la cioccolata per bambini è carica di burro di cacao e zucchero, che fanno arrivare un lampo di sapore alle papille, intenso e labile.
Oggi esce troppa roba, e spesso non c’è modo di sentire due volte un disco prima di decidere se e come recensirlo: di conseguenza, i “dischi-Kinder” possono avere più spazio di quelli che cercano il retrogusto, ascoltati senza l’attenzione e il tempo che permetterebbero di evidenziarne i pregi.
I dischi segnalati qui potrebbero non essere davvero capolavori come credo io, ma sicuramente avrebbero meritato miglior sorte. (DDG)