BOB MOULD “Bob Mould” (1996)

 

Bob_Mould_1996.jpgThis one is for me” è la dedica che Mould fa a se stesso nel 1996.

Una delle dichiarazioni di appartenenza ed identità più forti che abbia mai fatto.

This one is for me”: come dire che non c’è niente e nessuno che meriti queste riflessioni amare, niente e nessuno con cui dividere illusioni e delusioni, niente e nessuno cui valga la pena dedicare questo pugno di canzoni suonate e cantate con il cuore in mano.

In passato c’era statoBlack sheets of rain a farci riflettere sulla condizione di Bob (ed alcuni parenti ed amici al tempo gli chiesero se fosse tutto a posto); poi la parentesi discretamente fortunata ma anche interlocutoria con gli Sugar (buoni “File under easy listening” e “Copper blue”, piuttosto bruttino “Beaster”), adesso questo disco che sa tanto, e spero sentitamente nell’errore, di capolinea.

Ho un debole per Mould, posso tranquillamente affermare che circa dieci anni fa (*) mi abbia salvato: la grande onda inglese si era oramai ritirata e l’irruzione della SST e della sua micro galassia contribuirono in modo decisivo a farmi riacquistare la voglia di ascoltare dischi. Non c’era mattina di studio che non venisse inaugurata e battezzata da un “New day rising” o da “Flip your wig”, pure joy!

Da allora, ogni battito di ciglia di Bob passa per casa mia.

Di fatto è al suo terzo lavoro in proprio: stupendo e irripetibile il primo del 1989 “Workbook”, notevole anche il granitico e sottovalutato “Black sheets of rain”, entrambi con Bob ancora lucidissimo e creativo. “Warehouse” insomma non era stato un punto di arrivo (a differenza di Hart) e si avvertiva che sotto le ceneri fumanti divampava un gran bell’incendio.

Questo nuovo omonimo album del 1996 non si avvicina ai suoi predecessori eppure è la sua cosa migliore degli ultimi anni; e questo nonostante la controindicazione di un lavoro totalmente a suo carico: ovviamente sue le composizioni, sue tutte le parti suonate e sua la produzione in quel di Austin in Texas.

E’ un disco forte e orgoglioso, Mould rivendica il suo ruolo e mette a segno anche qualche uppercut come “Anymore time between”, oscura preghiera dall’intensissimo feeling, “I hate alternative rock” scarica di adrenalina in Re e finale pirotecnico, “Fort Knox, King Solomon” novella “Hardly gettin’ over it” dal ritornello liberatorio ed infine “Next time that you leave” grande pezzo che narra di un amore che finisce ma vi assicuro che potrebbe andare benissimo anche per uno nuovo che comincia.

 

(*) Ho scritto queste impressioni sul finire dell’estate del 1996. Perciò il riferimento è relativo al 1984 e al 1985. C’era dell’ottimo Pop in Inghilterra e splendeva la cometa 4ad però ci voleva qualcosa d’ altro, una scossa…..la SST.

 

 

 

 

Anto (1996)

 

 

 

 

Tracks:

  1. “Anymore Time Between”
  2. “I Hate Alternative Rock”
  3. “Fort Knox, King Solomon”
  4. “Next Time That You Leave”
  5. “Egøverride”
  6. “Thumbtack”
  7. “Hair Stew”
  8. “Deep Karma Canyon”
  9. “Art Crisis”
  10. “Roll Over and Die”

1 Comments

  1. Punkbeast

    ke bob mould sia un grande lo si sà dai tempi degli husker du, ha una grande “colpa” però insieme ai pixies e a Rikk Agnew prima ancora, quella di aver contaminato il punk col pop. o il pop col punk?

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