In quel di Zurigo verso le ore 8 PM, dopo trecento sudatissimi chilometri di autostrada italo/svizzera, si presenta agli occhi un’esplicativa parata di ciò che viene comunemente chiamato “poserismo”: all’entrata dell’Abart Music Ag, locale piccolo ma parecchio rinomato, c’è una lunga coda di teenagers vestiti e truccati talvolta da piastrati Brandon Lee, talvolta da colorati pappagallini sudamericani (con tanto di ciuffo rappresentativo). Tutti in attesa dell’headliner della serata, gli statunitensi Alesana.
Mentre ci si gode l’assenza di normative contro il fumo nei locali, salgono sul palco gli A Fall From Grace. Che alla fine dei giochi si guadagneranno la statuetta di best performing band del giorno, sia per comparto tecnico che per disponibilità e simpatia.
Giovani ma per nulla inesperti, sfoggiano un rock misto metal misto screamo che non ha nulla di particolarmente virtuoso o impegnativo, ma è carico di grinta al punto giusto e viene eseguito in maniera quasi impeccabile da ognuno dei 4 componenti. In particolare il cantante si impegna davvero molto per far si che quello che esca dall’impianto voce sia il più simile possibile a quanto si ascolti su cd, e ci riesce piuttosto bene.
Non avranno ancora l’esperienza per ottenere la certificazione di animali da palcoscenico, ma intrattengono discretamente la freddina popolazione svizzera per una buona mezz’ora. Peccato per la prima chitarra tenuta decisamente troppo bassa, ma promossi a pieni voti.
20 minuti di pausa, e comincia il vero e proprio show, in tutti i sensi: è il momento degli Hollywood Undead, direttamente da LA.
Tentare di dare una definizione al loro genere è piuttosto complicato, visto che fondono hip hop, rock, screamo, hardcore e nu metal, in una combinazione che ricorda un po’ i migliori Limp Bizkit, un po’ i Linkin’ Park, un po’ i D12.
Forti dell’enorme successo ottenuto (oltreoceano) dal loro primo cd, entrano in scena mascherati come da copione, con batteria e chitarra a supporto, basi premixate e un sacco di buon flow.
Ma alle prime note del loro pezzo d’esordio, al sottoscritto gela il sangue: Deuce, il cantante melodico, è completamente in playback. La piccola folla all’interno dell’Abart AG sembra non curarsene affatto, pogando su ogni pezzo con una alquanto nipponica attitudine a farsi molto male e goderne allegramente (quando si dice “gli emo”…)
Malgrado non ci sia quasi nessuno in grado di capire una sola parola d’inglese, il pubblico reagisce ad ogni respiro dei 6 burattinai che, pecca del cantante ufficiale a parte, offrono davvero un egregio spettacolo in stile Los Angeles.
I 4 rapper si alternano difendendo orgogliosamente il loro stile Gangsta Rich, si esaltano ed esaltano, arringano la folla soggiogandola con beat corposi e violenti, si prendono i meritati applausi alla fine di ogni pezzo.
Dopo 40 minuti di canzoni una via l’altra, si chiude con un pezzo decisamente pimp e, sulle note di “Hollywood we never going down”, salutano i teenagers di zurigo in estasi. Sipario.
Altro giro, altro regalo: finalmente prendono possesso dello stage gli headliner di serata. Che possono vantarsi di ben poche cose, una è di sicuro quella di saper rappresentare appieno cosa significa la parola “moda”. 3 chitarre e due voci, melodica e screamo, non bastano a far pensare che tutto sommato sia un gruppo che sa il fatto suo.
Chiudendo gli occhi e aprendo bene le orecchie si percepisce più un mix indistinto di rumori e urla che qualcosa che possa anche solo lontanamente ricordare una canzone effettivamente composta.
Andando avanti con l’esibizione le cose non cambiano, purtroppo, ma al pubblico di Zurigo non interessa, perché loro sono gli Alesana e questo basta. Se non altro il pogo, per quanto scatenato sia, non è mai più che appena fastidioso, dato il basso peso corporeo dei partecipanti.
A voler trovare un pregio, va detto che a livello di show non presentano la minima sbavatura: non c’è un secondo in cui non si salti, non ci si atteggi o non si faccia roteare una chitarra, ma è davvero tutto qui.
Nemmeno sulla cover di “what goes around comes around” di mr. Timberlake riescono a convincere, perdendo a un certo punto anche il tempo, e l’unica canzone degna di nota è quella dove a dare una mano arriva proprio il cantante degli A Fall From Grace.
Colpa del fonico, colpa della serata, colpa del locale?
Non si sa.
Ma l’impressione è che siano davvero una band come tante, tantissime altre, galvanizzata dal momentaneo imporsi di questo tipo di musica tra i ragazzini.
Insomma, per tirare fuori una citazione, “sotto quella frangia, niente”.
Dex (giugno 2009)