I Don Caballero sono uno di quei gruppi invecchiati male, che non sono riusciti ad adeguarsi ai tempi e alle nuove tecnologie, un atteggiamento che in passato ha premiato la band di Pittsburgh, ma che con il tempo è stata decisamente una scelta non proprio oculata.
Un pregio ma allo stesso tempo un limite enorme della band è stato sicuramente il vulcanico e talentuoso leader della band, Damon Che, che ha fatto il bello e il cattivo tempo durante tutta la sua carriera nei don cab, riuscendo nell’impresa di licenziare prima Eric Emm e poi Ian Williams. Dalla sua , Damon Che ha un talento fuori dalla norma, ma permettetemelo, un carattere non proprio tranquillo.
Dopo lo scioglimento del 2000, sembrava proprio che la band americana sarebbe rimasta nella storia come una delle più importanti degli anni ’90, una band seminale al pari degli SLINT, erano arrivati al loro apice e “American Don” poteva rimanere il loro testamento ai posteri.
Invece cosa ti va a combinare il nostro caro Damon?
Riforma la band tre anni dopo con degli emeriti sconosciuti, risultato?
Due dischi stanchi che sono solamente la copia sbiadita dei capolavori degli anni ’90, in cui la batteria regge, in più dei casi, la proverbiale baracca.
Quindi armato di tutto punto e pronto a mettere la mia personalissima croce su una band che ho amato follemente, mi metto sul treno che mi porterà a Ravenna. Ammetto che durante il tragitto ho messo su i vecchi dischi, sperando che in qualche modo potessero addolcire il mio animo avvelenato dagli ultimi dischi scontati e poco ispirati, ma niente, nulla… hanno sortito solamente l’effetto contrario.
Arrivato alla location stabilita ( Il Bronson di Ravenna ndA), accompagnato da mio fratello e da un Negroni ( il cocktail ovviamente) cerco posto nelle prime file.
Pensavo veramente di tutto nei momenti prima del live: dagli improperi da indirizzare a Damon Che appena fosse salito sul palco, a quale potesse essere la scaletta del concerto…
saliti sul palco i “damon caballero”, ormai quasi “one man show”, mi travolgono con una quantità di suono veramente impressionante, rimango basìto non solo dai volumi ma soprattutto dall’energia…
il mio odio violento e sanguinario sta vacillando, comincia ad intravedersi del tenero nel mio sguardo…
La band ha lavorato molto sul live, nulla da dire: i chitarristi sono degli ottimi gregari, dal vivo riescono a rendere i pezzi dei dischi in maniera veramente egregia e riescono anche a reggere il confronto con quei due mostri sacri di Ian Williams e Mike Banfield , la mia vis polemica si è del tutto esaurita. Le teste del pubblico si muovono quasi all’unisono, apprezzano e quasi a malincuore devo ammettere che anche la mia si è mossa a tempo, e in alcuni casi mi sono trovato anche a saltellare, accidenti!
Il set naturalmente privilegia l’ultima fatica discografica, quel “Punkgasm” che su disco non avevo apprezzato per nulla, i pezzi dal vivo risultano granitici, i Don dal vivo ragazzi spaccano.
Si spengono le luci e il concerto finisce e tra un misto di nostalgia e tristezza mi avvicino al bancone per la mia meritata birra. Ora non sono più il freddo boia che deve preparare il patibolo per una band storica, sono tornato il ragazzino delle superiori che registrava “what burns never returns”su cassette al cromo per poterle consumare sul walkman, quello che mentre tutti ascoltavano i Dream Theater e ne lodavano i tecnicismi fini a se stessi, ascoltava i Don Caballero e non riusciva a capire come facessero a creare e a scomporre i tempi in quella maniera e , che mi hanno, in qualche modo, fatto apprezzare la matematica (un pochettino, mica tanto…), perchè se la musica è matematica loro sono stati veramente dei fottuti calcolatori…
finisce la serata un dj sale sul palco e si prepara a far muovere qualche culo per la festa di Halloween mentre io mi ritrovo ad amare nuovamente una band che consideravo finita.
Andrea Murgia (novembre 2008)