C’erano tutte le premesse perché fosse un evento unico ed eccezionale, ed invece questo secondo gig del 2009 dei Down sul suolo italico si è rivelato ‘solo’ un ottimo concerto.
In chi li ha visti dieci giorni prima al Gods of Metal di Monza, c’è la certezza di una band in forma smagliante, con un Phil Anselmo tirato a lucido e capace di una prova vocale memorabile, esaltato per giunta dalle feste che il pubblico della Penisola gli tributa ogni volta che passa dalle nostre parti: «It’s good to be in the Fatherland» («è bello essere nella terra dei padri»), risponde lui alla platea monzese, mandandola in visibilio.
Con un precedente simile e così ravvicinato, le aspettative per la serata di Collegno, che si svolge all’interno del meraviglioso Parco della Certosa Reale e che fa parte del “festival di musica resistente” Colonia Sonora, sono altissime: e invece ai Down, senza che li si possa accusare di non aver onorato l’impegno, manca in definitiva quel pizzico di cattiveria ed energia che ha reso la loro la migliore esibizione della seconda giornata del Gods, assieme a quelle di Cynic e Slipknot; soprattutto, rispetto a quanto ci hanno abituato in passato, manca all’appello almeno mezz’ora di set, che alla fine, (lunghe) pause comprese, è durato appena un’ora e mezza.
Poco importa, per chi c’era, che ciò sia stato il risultato della stanchezza accumulata stando in tour, di una scelta della band (anche in Polonia le canzoni suonate sono state 12 come in Piemonte; ma in Israele, per fare un esempio, sono state 15), o della possibile delusione per un numero di spettatori non elevatissimo – ma non ci si poteva aspettare altrimenti, considerata appunto la vicinanza tra la prima data di Monza e questa seconda di Collegno: resta il dato di fatto di una gran bella prova che avrebbe potuto essere un evento, e che invece tale non si è rivelata.
Tocca agli Ufomammut aprire le danze: il gruppo italiano è la dimostrazione suonante di come non ci sia bisogno di essere in 48 sul palco per produrre un muro di suono disumano, visto che loro sono in tre, e dire che spaccano è un puro eufemismo. Il pubblico se ne accorge e li premia giustamente con il massimo dell’attenzione e degli applausi.
Scocca l’ora del quintetto di New Orleans, e l’opener è, come quasi sempre accade, «Lysergic funeral procession»; si entra poi nel vivo con due pietre miliari come «Lifer» e «Hail the leaf», dal primo disco «Nola», probabilmente il miglior album metal degli anni Novanta: è soprattutto la seconda canzone a possedere un’aura magica, e ogni volta che la band la esegue si resta a bocca aperta, con le sue caratteristiche in termini di violenza e atmosfera allucinata che vengono amplificate a dismisura dalla resa on stage.
Si procede con altri grandissimi pezzi come «Ghosts along the Mississippi», «Eyes of the south», «The path» e «N. O. D.», e quando il pogo si fa pesante e qualcuno cade a terra, Phil Anselmo impone l’alt per sincerarsi che nessuno si sia fatto male. Intanto si arriva presto (troppo presto!) alla conclusione della prima parte di concerto con una graditissima sorpresa, ovvero «Nothing in return», traccia conclusiva di «Over the under» che i Down finora hanno suonato pochissimo dal vivo.
Lunga pausa pre-bis, e poi «Stone the crow» e l’inno funerario (che con un pessimo gioco di parole potremmo anche definire “fumerario”) «Bury me in smoke» mandano tutti a casa.
Soddisfatti e contenti, certo, ma – come abbiamo già sottolineato – non troppo: we wanted more!
Alessandro Marongiu (luglio 2009)
Fotografie by Christian Grillo in esclusiva per Miusika.net