Per entrare dentro The seldom seen kid serve pazienza.
Bisogna farlo sedimentare ascoltandolo molte volte, lasciando che un gancio emerga finalmente ad attirare la nostra attenzione verso una bellezza tanto quieta e solo apparentemente anonima.
A me è successo col mantra di Weather to fly: la voce calda, gabrieliana di Guy Garvey continuava a ripetere da giorni nell’autoradio che il tempo era perfetto per volare, ma non me ne ero accorto.
Da lì il cammino deve essere stato lo stesso che hanno fatto in tanti, compreso il Peter Gabriel originale (che nel suo disco di cover Scratch my back ha poi riletto l’amore urbano di Mirrorball, le sirene che diventano violini, e la luna che fa da palla di specchi alla coppia che balla in strada): gli altri ami sono lentamente emersi, e l’amore di cui è intrisa ogni canzone è diventato vero calore, sprigionato da un disco che era passato quasi inosservato al primo ascolto, a casa come nelle recensioni.
Certo non avevano giovato l’immagine del gruppo di Manchester, composto da persone prive dell’aura delle rockstar, antidivi meno problematici dei Radiohead che citano tra le influenze, né il suono, denso di armonie e dinamiche, ma tradizionale per tempi, strutture e strumenti: cori e archi danno profondità a una formazione pop classica, dove le tastiere evocano organo e piano, chitarre e batterie non fanno assoli, e a brillare è la costruzione solida delle canzoni.
Una bellezza profonda, ma priva dei lustrini che ci si aspetta da un disco classificato sotto “musica pop”.
Una bellezza che richiede tempo, applicazione, attenzione.
Conquistati da una delle melodie, si torna da capo, e si scoprono l’apertura spiazzante del cantato che segue la sommessa introduzione strumentale (come osa il Premier ignorare i miei inviti?), e le mille maniere con cui si canta di amore e malinconia, di abbandoni e incontri definitivi (ho un’udienza col Papa… ma lei ha detto che ha bisogno di me, quindi tutti gli altri devono aspettare).
Quando lo si è finalmente scoperto, a restare più a lungo nel cuore è l’inno alla gioia di One day like this, con il protagonista innamorato che apre le tende e capisce che sarà un giorno meraviglioso, in un lungo crescendo di pura felicità che riesce a far risuonare corde anche nell’ascoltatore che, finalmente, è stato conquistato.
Il disco è stato apprezzato solo nel lungo termine (per i tempi attuali: qualche mese dall’uscita), e in attesa del successore, Build a rocket boys! (2011), anch’esso meritevole di ascolti ripetuti, gli Elbow lo hanno riletto nel 2010 dal vivo col supporto di orchestra e coro: un DVD anomalo, anche questo consigliabile, per l’ulteriore colore che assumono brani come Starlings e per il gusto di vedere un concerto che emoziona senza nessuno degli ammiccamenti del rituale rock.
Domenico Di Giorgio (maggio 2011)
Tracklist:
1. Starlings
2. The Bones Of You
3. Mirrorball
4. Grounds For Divorce
5. An Audience With The Pope
6. Weather To Fly
7. The Loneliness of a Tower Crane Driver
8. The Fix
9. Some Riot
10. One Day Like This
11. Friend Of Ours.
KINDERTIME
La cioccolata migliore va fatta sciogliere lentamente in bocca, dicono, perché il sapore arriva dopo un po’, per rimanere a lungo.
Viceversa, la cioccolata per bambini è carica di burro di cacao e zucchero, che fanno arrivare un lampo di sapore alle papille, intenso e labile.
Oggi esce troppa roba, e spesso non c’è modo di sentire due volte un disco prima di decidere se e come recensirlo: di conseguenza, i “dischi-Kinder” possono avere più spazio di quelli che cercano il retrogusto, ascoltati senza l’attenzione e il tempo che permetterebbero di evidenziarne i pregi.
I dischi segnalati qui potrebbero non essere davvero capolavori come credo io, ma sicuramente avrebbero meritato miglior sorte. (DDG)