GIVE IT A NAME FESTIVAL- Live Report @ ESTRAGON – PARCO NORD BOLOGNA – 15/04/09

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Your Hero + Innerpartysystem + Emery + Escape the Fate + Thursday + Underoath + Taking Back Sunday.

Si dovesse fare una classifica dei generi musicali con gli appassionati peggio vestiti della storia, l’emo vincerebbe con grande distacco per manifesta superiorità, nonostante sia giunto agli onori della cronaca relativamente da poco.

È questa la prima cosa che si nota entrando all’Estragon, Parco Nord di Bologna, nell’attesa che la seconda edizione del festival «Give It A Name» abbia inizio.

Le emo girl, per esempio, per non farsi mancare niente in termini di fashion, hanno recentemente adottato nella loro divisa d’ordinanza anche gli occhiali da nerd di Arisa, col risultato che ora oltre che poco carine sembrano anche leggermente fessacchiotte.

Gli emo boy, invece, fanno la fila in bagno davanti alla macchinetta che emette l’aria calda: non per metterci le mani, però, come fanno le persone normali, ma, dopo essersi contorti tutti, per modellarsi il ciuffo.

Per fortuna ci si distrae presto dal panorama faunistico, dato che con estrema puntualità gli italiani Your Hero iniziano la loro performance alle 18,30: vedendoli agitarsi sul palco a volume azzerato, uno potrebbe pensare che siano un residuato bellico dell’hard rock anni ’70, o tuttalpiù i Cathedral (che è un po’ la stessa cosa), per via della chiome fluenti, delle camice aperte e dell’attitudine on stage. Musicalmente però il loro è un emo molto canonico e ancora acerbo, anche se il batterista è da applausi.

Verso le 19 è la volta degli Innerpartysystem: provate a immaginare degli U2 con voglia di sperimentare (è difficile, lo sappiamo), con un’enorme carica vitale (sempre più difficile) e idee compositive fresche (vabbe’, lasciamo perdere) e avrete un’idea almeno approssimativa del loro sound, al cui interno si avvertono anche risonanze di Depeche Mode e Radiohead. Dal vivo si dimostrano già pronti per il grande salto verso il successo mondiale: ora devono solo scrivere un album con dieci pezzi all’altezza dei primi due dell’esordio dell’anno scorso, ed è cosa fatta.

Seguono gli Emery, che confermano in concerto di essere simpatici e poco più, proprio come su disco.

Gli animi si scaldano quando entrano in scena gli Escape The Fate, molto attesi e applauditi dal pubblico che dimostra di conoscere sia i loro ritornelli ammiccanti che le loro bordate in puro stile death metal svedese. Dopo cinque sei canzoni, il cantante scala un muro di amplificatori alto tre metri, fa qualche smorfia e poi si tuffa di sotto per la gioia delle ragazzine ululanti che se lo prendono sui denti.

Ottimo intrattenimento, ma più fumo che arrosto, specie perché poi è la volta di una band che dà una prova di sostanza – unita a una sapienza superiore in fase di scrittura delle canzoni – a dir poco impressionante, ovvero i Thursday. Il sestetto di New Brunswick, New Jersey, presenta alcuni pezzi tratti dal recente e bellissimo «Common existence», ma non dimentica la title-track di «War all the time» e regala anche due perle dall’eccezionale «Full collapse», ovvero «Understanding in a car crash» e «Cross out the eyes». Geoff Rickly, il cantante, è semplicemente perfetto, ma è tutta la band ad eccellere: peccato che il pubblico, composto per lo più da teenager e non-ancora-universitari che non hanno né le orecchie buone né l’educazione musicale per accorgersene, preferisca snobbarla per prendere aria fuori dalla struttura.

Quando arriva il turno degli Underoath, dentro l’Estragon si scatena un putiferio inimmaginabile se non lo vedessimo coi nostri occhi: il muro di suono che il gruppo è capace di produrre ha dell’irreale, il suo metal-core apocalittico e disperato annichilisce ma non respinge gli spettatori, e infatti i musicisti, che sembrano come invasati (in particolare il chitarrista Tim McTague e il tastierista Chris Dudley, incontenibili), trascinano nella loro follia tutti i presenti, con «Breathing in a new mentality», «Anyone can dig a hole» e «A fault line», estratte da «Lost in the sound of separation». Si può solo stare a bocca aperta, ammirati, e applaudire e applaudire ancora: decisamente la miglior esibizione della serata.

In chiusura di festival arrivano, attesissimi, gli headliner Taking Back Sunday, che però deludono le aspettative: non che dispiacciano, ma non sembrano né in grande vena né troppo impegnati in quello che fanno, e per giunta si danno la zappa sui piedi suonando tre pezzi dall’album «New again», in uscita il prossimo 5 giugno, che coinvolgono poco o nulla la platea dato che non li conosce praticamente nessuno. Il loro set è breve e, appena concluso, i Taking Back Sunday lasciano il palco senza convenevoli e senza concedere neanche un bis: non una gran figura, insomma. Anche in una giornata storta come questa, canzoni come «Makedamnsure», «What’s it feel like to be a ghost?» e «You’re so last summer» restano comunque gemme di rara bellezza.

 

 

 

 

ALESSANDRO MARONGIU (maggio 2009)

 

 

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