La platea consiste in una strabordante maggioranza di ragazze tra cui si distingueranno, appena il set avrà inizio, le ultras, le tipe capitate per caso che passeranno tutto il tempo con le spalle al palco a parlare dei fatti propri pur avendo raggiunto la terza fila, ragazze un po’ attempate, giovani scalpitanti.
Si vede di tutto, dai tacchi allo street più estremo in questo concerto solista di Meg che torna a Torino per proporre le canzoni del suo ultimo disco Psychodelice con una veste nuova ed un progetto che, invece di utilizzare basi o strumenti veri, usa gli Iphone per creare il tappeto sonoro a sostegno della voce della cantante partenopea.
C’è meno gente che al concerto dei 99 Posse che si è tenuto sempre qui all’Hiroshima mon amour meno di un mese fa e che ha registrato un tutto esaurito da sentirsi male. Nel senso che non si poteva letteralmente respirare. Oggi invece, l’atmosfera è rilassata, e tutto sommato è meglio così, ci si godrà di più la dolcezza elegante della musica di Meg e si avrà più spazio per ballare.
Lei entra in scena con un peplo, elegantissimo e, fin da Laptop Love, prima canzone proposta, è chiaro che l’impostazione è quella dance. Lo speciale mix che Meg produce fra la tradizione delle voci italiane d’antan (Ornella Vanoni, Mina etc) e la passione per l’elettronica è ancora da affinare ma da i suoi frutti. Gli arrangiamenti si muovono fra anni 80 e rimandi che tornano a più riprese della prima Bjork solista alla There’s more to live than this. Funzionano i pezzi veloci quando entra il dub e le battute si fanno più serrate mentre le canzoni lente e romantiche sembrano non avere mordente e si somigliano eccessivamente l’una all’altra.
La dimensione live, e come potrebbe essere diversamente per una come Meg che sul palco è di casa da anni, arricchisce le trame che su disco risultano troppo scarne ed essenziali rimpolpandole di suoni e regalando un tiro maggiore.
Nasce però qualche dubbio nel vedere suonare questi tanto lodati Iphone.
Il progetto phone jobs, è stato presentato come altamente innovativo ma lascia a desiderare per le possibilità sonore che propone e a livello visivo non rende tanto anzi, l’impressione costante è che i tre musicisti che accompagnano Meg si stiano facendo i fatti propri durante quasi tutto il concerto, chi controllandosi i messaggi e chi giocando al game boy. Insomma non è del tutto convincente.
Meg chiude lo spettacolo dopo neanche un’ora e mezzo e, nonostante una bella cover di Don’t stop ‘till you get enough sul finale, lascia l’amaro in bocca per un set che sarebbe potuto essere più curato. Ma c’è tempo per migliorare.
Claudia Pinna (febbraio 2010)