L’atmosfera è carica di attesa mentre noi intrepidi, infreddoliti spettatori scandagliamo il palco alla ricerca di un segno di vita nella piovosa serata del 21 luglio. E dopo poco, ecco arrivare il gruppo: la PFM è pronta ad iniziare lo spettacolo.
Sullo sfondo campeggia, sorridente e serigrafato, il faccione di Fabrizio De Andrè.
Sugli spalti è presente anche la vedova del cantautore, Dori Ghezzi, simbolo di una vicinanza fra la famiglia e la città di Tempio che Faber ha tanto amato e che ora lo ricambia con una quattro giorni dedicata a lui, fra concerti e reading itineranti.
Non poteva dunque mancare la Premiata Forneria Marconi, il gruppo storico che lo ha accompagnato in decine di concerti e che con lui ha inciso diversi dischi; e se la formazione è cambiata, lo spirito è sempre lo stesso che ha dato vita agli arrangiamenti degli anni 80.
Il concerto si apre con una vivace “Bocca di Rosa”, per scaldare il pubblico che risponde entusiasta cantando a squarciagola anche le conosciutissime canzoni successive: “La guerra di Piero”, “Un giudice”, fino ad arrivare alla più sobria “Giugno 73″.
Ma è solo un attimo di respiro prima del tuffo: seguono “Il testamento di Tito”, interpretata con rabbia dall’ottimo frontman Franz Di Cioccio, l’immancabile “Zirichiltaggja”, dal testo in dialetto gallurese, “Volta la carta”, “La canzone di Marinella”, resa incredibile da un lungo assolo di Mussida, fino a concludere il repertorio deandreiano con “Amico fragile”.
La parte successiva è dedicata, invece, alle sonorità proprie della PFM, che incanta il pubblico con il rock progressive di capolavori come “River of life”, dai toni vagamente pinkfloydiani, ed altri pezzi di storia della musica; il gruppo sembra voler concludere il concerto e si allontana dal palco, ma dopo un acclamatissimo ritorno sulle scene lo spettacolo continua con “Il pescatore” e “Impressioni di settembre”, singolo che fece la storia della band.
Anche se stanco, alla fine del concerto il cantante Franz Di Cioccio ci ha gentilmente concesso un’intervista mentre, dopo il bagno di folla, si pregustava il giusto riposo.
(Per facilità di lettura, le domande saranno contrassegnate dalla scritta Miusika e le risposte con le iniziali FDC)
MIUSIKA – Bene, iniziamo dalle cose semplici. Una domanda veloce: cosa è cambiato da quando eravate i “Quelli”, poi i “Krel”, fino a diventare la PFM di oggi?
FDC – Potrei stare a parlare fino a domani! In sintesi, diciamo che, aldilà dei cambi di formazione, siamo evoluti nel modo di concepire la nostra musica, nel modo di proporci al pubblico, dalle prime ispirazioni musicali agli incontri degli anni 80 e a seguire.
MIUSIKA – Hanno influito i molteplici tour all’estero?
FDC – Certo, certo. Negli anni del successo internazionale, soprattutto, abbiamo capito che la musica è una cosa che davvero unisce tutti: che fossimo in Messico, in America, o in Italia, la gente ci apprezzava in ogni caso. Questo perché, soprattutto nel nostro genere, ciò che conta è la musica e il musicista, non tanto il capire le parole del testo; si impara a suonare per la gente, e questa è un’esperienza che ci è servita anche al ritorno nella nostra patria.
MIUSIKA – Questo periodo di rinnovato successo, a distanza di decine di anni dalla formazione del gruppo, sembra dare uno schiaffo morale a chi vi reputa “vecchi”.
FDC – Beh, diciamo che l’importante è saper vivere il proprio tempo, non adeguarsi alle mode. Noi siamo in grado di affascinare ancora il pubblico perché il nostro suono è vero, ci piace suonare ciò che suoniamo, insomma. Se fai una cosa che ti piace, la fai bene, e la gente se ne accorge. Per questo siamo ancora in grado di attirare i giovani con il nostro sound.
MIUSIKA – Dopo la storica collaborazione con la Numero Uno, com’è il vostro rapporto con le case discografiche?
FDC – La Numero Uno era una cosa nuova, un’etichetta davvero indipendente che, però, a poco a poco si è uniformata. Ora il nostro rapporto con le etichette è praticamente nullo, perché sono tutte essenzialmente uguali, tutte tese solo al guadagno.
MIUSIKA – Cosa ne pensate della tendenza da parte delle major a lanciare gruppi giovani che diventano famosissimi dopo il primo singolo?
FDC – È solo una questione economica, purtroppo. Il problema è che molti di questi gruppi sono costruiti a tavolino, sono uniformati, e destinati a scomparire molto in fretta. La prova del tempo, nella musica, non risparmia nessuno. E, per fortuna, la PFM l’ha superata. Ora, con la globalizzazione, questi ragazzi vengono distribuiti in tutto il mondo, e perdono la voglia di suonare, di fare carriera, di fare ciò che davvero piace loro. Vorrei che voi tutti giovani foste nati negli anni 60!
MIUSIKA – C’è anche il lato positivo, comunque, della globalizzazione: come dicevi, la grande distribuzione musicale.
FDC – Si, questo è vero, in effetti con i nuovi canali informatici anche la nostra musica può acquistare una eco che prima era impensabile. Ma si perde tutto il lato “materiale” della cosa… È come avere un vecchio giubbotto: sai che quello strappo te lo sei fatto a Dublino, che quella macchia te l’ha fatta un amico distratto che ricordi con affetto… È così anche per un CD, o un buon libro. Quando si tratta di file, fai un copia e incolla; un file non ha un vissuto, e quando passi una canzone o la ricevi da un amico, cosa ti rimane? Niente.