Arrivati al secondo disco su American, gli I.N.C. cambiano nuovamente rotta, spingendosi verso direzioni ancora più sixties ed estremizzando ancor più il loro lato garage che nel precedente disco emergeva a malapena, annacquato com’era da una produzione troppo mainstream, che privava le, buone, tracce della loro vena “live”.
“The cross of my calling”, quarto disco della band svedese di Umea, riesce a migliorare tutti i lati che erano carenti nel disco precedente: una registrazione più adeguata agli standard della band, riuscendo, come solo nel primo monolitico “Survival Sickness”, a cogliere, seppur negli asettici studi del capitano Rubin, la vera natura del gruppo, ossia quella forza live che si era cercata di imbrigliare nella loro precedente fatica discografica.
Più attenzione alle melodie, sicuramente influenzate dalla parallela carriera del cantante Dennis Lyxzen nei “Lost Patrol Band”, più pop, ma non nel senso negativo della parola, melodie che rimangono impresse nelle orecchie e nel cervello, come quella di “Hiroshima Mon Amour”, personalmente il pezzo preferito del disco.
La bravura del gruppo è quella di confrontarsi continuamente con un genere ormai inflazionato e che ha dato molto alla musica, senza mai cadere nel banale o nel plagio spudorato, cosa facilissima se si decide di suonare r’n’r sixties.
Dopo quattro anni da “Armed Love”, la scena rock-garage ritrova una band in forma e ispirata e pronta a farvi ballare prestissimo nei concerti live sparsi per l’Italia e d Europa
Andrea Murgia (dicembre 2008)
Tracklist:
1.”Intro”
2.”The Assassination of Myself”
3.”Dustbins of History”
4.”Arm Yourself”
5.”Hiroshima Mon Amour”
6.”Boredom of Safety”
7.”Child of God”
8.”Interlude”
9.”I Am The Dynamite”
10.”Washington Bullets”
11.”Satan Made the Deal”
12.”Storm the Gates of Beverly Hills”
13.”Black September”
14.”The Cross of My Calling”
Voto: 4/5